FUMETTO MEMORIA E LIBERTÀ

Paco_Roca_AbismoPuò un fumetto emozionare tanto e così intensamente da riempire gli occhi di lacrime dopo averli deliziati con storie tavole e colori? A cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, quando il mondo era a dir poco in ebollizione, Umberto Eco si impegnava in una meticolosa e certosina opera di riabilitazione del fumetto. Grazie a lui, è stato possibile togliere le virgolette al termine stesso che indicava un innovativo e affascinante mezzo di espressione artistica. All’epoca ancora relegato in una immeritata dimensione di nicchia. Fino a quegli anni infatti, gli ambienti accademici e il gotha culturale non ne ammettevano l’ingresso. Nella straripante e multiforme produzione di una delle più grandi figure del Novecento e di scampoli del terzo millennio (Umberto Eco ci ha lasciati esattamente otto anni fa, il 19 febbraio del 2016), la ricerca e l’esplorazione di quello che diventò poi un medium di massa a tutti gli effetti, ricoprirono un ruolo fondamentale. Per il suo straconosciuto e celebrato curriculum di filosofo saggista scrittore eccetera eccetera eccetera e per le sorti del fumetto stesso, naturalmente. Il saggio su Superman e, soprattutto, la imprescindibile analisi sui Peanuts e sul suo creatore Charles Schulz, che trovarono posto già nella primissima edizione di Apocalittici e Integrati e che a tutt’oggi sfugge a qualsiasi tentativo di incasellarla in una qualche categoria che sia la semiologia la linguistica la filosofia o chissà quale altra categoria del Sapere tra le molte in cui Eco ha messo mano, hanno determinato un ante e un dopo del fumetto. Uno spartiacque che ha riscattato le bandes dessinées da una élite devota al loro culto per riporle nelle accoglienti (allora più che mai) braccia della cultura popolare. Dalla quale non sarebbe più tornato indietro. Il fumetto entrò dunque a titolo definitivo nell’ambito e sconfinato regno del Pop. In ogni caso, la risposta alla domanda iniziale è un rotondo e incondizionato “sì”, in particolar modo se si tratta di uno dei capolavori di Paco Roca.

Nello specifico, ci riferiamo a “El abismo del olvido”, uscito in Spagna lo scorso dicembre (in Italia i suoi lavori sono pubblicati dalla casa editrice Tunué). Come in altre sue imperdibili opere, il tema della Memoria torna in maniera contundente e convincente; assume una funzione onnicomprensiva del testo del disegno e del significato. E torna anche a Valencia, dove Paco Roca è nato e nelle cui vicinanze si svolge l’intera vicenda. Più precisamente tra il paese di Masamagrell il cimitero di Paterna e il campo de tiro di El Terrier. I fatti risalgono al settembre del 1940, a poco più di un anno dalla fine della Guerra Civile. Per avere però un quadro più chiaro e più preciso anche sul piano strettamente storico, occorre fare un salto fino al 26 dicembre del 2007, giorno in cui il governo spagnolo, presieduto da José Luis Zapatero, approva la Legge sulla Memoria Storica. La Legge 52/2007, la quale all’articolo 1 dichiara solennemente: “La presente Legge ha come oggetto riconoscere e ampliare i diritti a favore di coloro che soffrirono persecuzioni o violenza, per ragioni politiche, ideologiche, o di fede religiosa, durante la Guerra Civile e la Dittatura, promuovere il loro risarcimento morale e il recupero della memoria personale e familiare, adottare misure complementari destinate a eliminare elementi di divisione nella cittadinanza, tutto ciò con il fine di incrementare la coesione e la solidarietà tra le diverse generazioni di spagnoli sulla base dei principi, valori e libertà costituzionali.” Parole e concetti che lasciano pochissimo spazio a interpretazioni, fantasiose o in punta di Diritto, riguardo la rilevanza politica storica e culturale della Memoria. Ovviamente, questo non vuol dire che l’iter della legge, il dibattito parlamentare e la conseguente approvazione siano stati immuni da divisioni tormentate e da un clima rovente di forte contrapposizione. In ambito istituzionale come in seno al tessuto sociale. Al punto che nei primi mesi del 2012, non appena insediatosi alla Moncloa, sede della Presidenza del governo, il candidato del Partito Popolare Mariano Rajoy uscito vincitore dalle elezioni del novembre 2011, non ritenne misura più innecessaria che tagliare drasticamente i fondi economici previsti e contemplati nella Legge 27. Una misura, a loro avviso, “giustificata” dalla tremenda recessione economica che stava travolgendo la Spagna come tutto l’Occidente, piena di propaganda nazionalista e che strizzava l’occhio alla fascia di popolazione nostalgica del Caudillo. Nel nostro paese, d’altro canto, c’è ben poco da rallegrarci. Assistiamo ormai da più di un decennio all’attacco sistematico e violento alla memoria collettiva costruita essenzialmente sulla Resistenza e sulle gesta eroiche di partigiani e partigiane. Nonché sulle atrocità causate dal fascismo e sulle responsabilità di una parte consistente della società, quella innanzitutto rappresentata dalla razza padrona e dalla meschinità monarchica spaventate dallo spettro che si aggirava per l’Europa e materializzatosi nella Rivoluzione d’Ottobre del 1917, nel sostenerlo fino alle estreme tragiche conseguenze di trascinare l’Italia in guerra a fianco della Germania nazista. Nell’intento, ahinoi spesso riuscito, di riscrivere la Storia con finalità spudoratamente elettorali, finiscono nel frullatore dell’approssimazione e della superficialità vincitori e vinti, vittime e carnefici, secondo un unico falso principio: la riconciliazione. Come se non bastasse il 25 Aprile del 1945 a far comprendere con chiarezza inequivocabile in quale lato della barricata avessero preso posizione il torto e la ragione; le tenebre dell’oscurantismo e la fiducia nell’avvenire, la viltà e la umanità. La necessità della Destra di ricostruirsi un proprio mito originario, per affermare che in fin dei conti non è così lugubre e temibile, ha trovato purtroppo sponda anche in una parte della Sinistra arrendevole e rinunciataria, disposta a togliersi di dosso il prima possibile e in qualsiasi modo le scorie di un vetero-comunismo da Guerra Fredda. A fare una sbrigativa abiura delle proprie, di origini, in omaggio a un fantomatico reciproco riconoscimento delle parti in conflitto: i ragazzi di Salò valgono i Partigiani, entrambi con le loro giuste ragioni. In questo osceno gioco delle parti, inaugurato all’indomani della caduta del Muro di Berlino, sono state istituite giornate che nulla hanno a che vedere con tragici passaggi storici e che intenderebbero commemorare quanto piuttosto con la farsesca ipocrisia di “forze” politiche preoccupate dalla crisi del consenso. In tale contesto va inserita la proclamazione delle cosiddette “giornate del ricordo” o “giorni della Memoria” del 27 gennaio e del 10 febbraio. La liberazione di Auschwitz, le Foibe, diventano così un argomento da bar – con tutto il rispetto per questa sana istituzione sociale anch’essa sempre più inghiottita dalle fauci onnivore della modernità –, una squallida meta-parodia della celebre scena morettiana di Ecce Bombo su rossi e neri e su quanto ci meritiamo Alberto Sordi. O, peggio ancora, rimbalzano nella bolla digitale dei social network fino a trasformare la menzogna in un insindacabile dogma. Buono da sfruttare, nel simulacro di partecipazione e diritto che è diventata la democrazia occidentale.

In Spagna non hanno certo vissuto momenti migliori nel lungo protrarsi della dittatura franchista, dal 1939 al 1975. Tuttavia, nel settembre del 1940, la sete di vendetta e di sangue dei falangisti non si era placata, e la giustizia tarderà più di mezzo secolo per farsi sentire. La matita di Paco Roca è una delle voci prestate a questo coro di dignità e di verità. Non passarono quindi che pochissimi anni dal varo della Legge sulla Memoria Storica allorché l’esecutivo guidato da Mariano Rajoy realizzò quanto promesso in campagna elettorale, e cioè di non destinare neanche un euro alla localizzazione delle fosse comuni. E a dare una degna sepoltura a padri madri nonne e nonni fucilati e lì in fondo gettati solo per essere stati fedeli alla Repubblica o per aver avversato l’orrore franchista. Già dai primi mesi della sollevazione militare avvenuta nel luglio del 1936, contro il legittimo governo del Frente Popular in carica dal 16 febbraio dello stesso anno, i rastrellamenti e le esecuzioni di massa divennero una prassi abituale dei golpisti. L’iniziativa del Generalissimo riscosse subito il sostegno di Hitler e Mussolini, a parole e nei fatti con l’invio massiccio di armamenti e soldati, stretti nel Patto d’Acciaio anche nella condivisione di sperimentati metodi per perseguitare imprigionare torturare e assassinare oppositori politici o solo presunti tali. Un manuale di sopruso e sterminio che fu adottato in altre nefaste circostanze lungo tutto il Ventesimo secolo. Tornando invece alla contemporaneità, i provvedimenti del governo Rajoy di sicuro non furono sufficienti per fermare la lotta delle associazioni delle vittime della dittatura o di singole persone che continuarono la ricerca con i rimanenti esigui fondi messi ancora a disposizione, magari da amministrazioni locali lontane dalla propaganda revisionista del Partido Popular e più vicine alle giuste rivendicazioni dei discendenti di quel massacro. O “semplicemente” a proprie spese, come d’altronde succedeva fino a qualche anno prima. La perseveranza dei familiari, la lunga ed estenuante battaglia che conducono da sempre per amore di giustizia in nome dei propri cari e contro la irreversibilità dell’oblio, sono alcune tra le gigantesche motivazioni che hanno spinto un autore come Paco Roca, i cui lavori sono tutti attraversati e caratterizzati dal profondo interesse per le variegate forme di manifestazione della Memoria, a comporre uno splendido affresco del nostro presente radicato in un passato doloroso ma vibrante di indomita speranza per il futuro. La grandezza di una storia o di un vissuto personale, o l’insieme di tanti sofferenti percorsi esistenziali riuniti attorno a un obiettivo comune, si rivela nella universalità del messaggio che porta in sé. La riesumazione dei cadaveri spietatamente impilati nelle fosse comuni contiene il sospirato sollievo del ritrovamento o l’inconsolabile sconforto del fallimento, dovuti alla insopportabilità di troppi anni di spregio e indifferenza. Stati d’animo dunque che attengono principalmente alla sfera personale ma che si elevano a riferimento imprescindibile di civiltà e umanità. Anche per dichiarata volontà dei familiari, indubbiamente. La ricerca del DNA del padre di Pepa è un viaggio che facciamo, o che dovremmo fare, alla perenne ricerca delle nostre radici; è il codice genetico della Memoria.Umberto_Eco_Dylan_DogP

Non è la prima volta, e non sarà l’ultima, che il medium fumetto rivendica un ruolo di testimonianza politica e di denuncia sociale, come d’altronde in diversi altri ambiti in cui arte e comunicazione si mescolano si sovrappongono si sostituiscono e vicendevolmente si alimentano. Rinchiudere il vastissimo e “pericoloso” immaginario collettivo, generato da qualsivoglia forma di espressione artistica, nella fabbrica dell’entertainment, riduce la visuale dello sguardo che ognuno di noi rivolge al proprio orizzonte e a quello molto più ampio della Storia. Limita e ridimensiona la coscienza critica, personale e collettiva, secondo un consolidato meccanismo di riproduzione del modello neoliberista nella costante mercificazione delle immagini; una reiterata rappresentazione della debordiana Società dello Spettacolo aggiornata ai tempi del dominio digitale. La storia del comic vanta numerosi e ragguardevoli esempi di profonda riflessione e immersione nelle contraddizioni delle società occidentali e del capitalismo che le contraddistingue, di critica ostinata al Potere quali che siano le sue tentacolari articolazioni. Modestissimo parere, il punto più alto, appena sopra il Corto Maltese di Hugo Pratt è stato raggiunto con L’Eternauta, la saga argentina concepita scritta e disegnata da Héctor Oesterheld e Francisco Lozano López. Uscita inizialmente a puntate sulla rivista Hora Cero, tra il 1957 e il 1959, venne poi ri-attualizzata una decina di anni dopo, in una versione che quasi annunciava la sciagura che stava abbattendosi sul paese sudamericano. Di lì a poco, nel marzo del 1976, la Giunta Militare guidata da Jorge Videla diede vita a un progetto di morte che durò fino al 1983. Sul selciato del “Processo di Riorganizzazione Nazionale”, così fu pomposamente denominato dai sanguinari generali, rimasero 30.000 vittime, assassinate o desaparecidas. Una lugubre tecnica di annientamento appresa anche dal Generale Francisco Franco. Tra le 30.000 vittime, colpevole di talento e innato senso di giustizia, anche Oesterheld, uno dei papà dell’Eternauta. Un capolavoro assoluto, destinato a rimanere tale nella eternità e presidio invalicabile nella quotidiana battaglia contro ogni tipo di negazionismo e revisionismo. El Abismo del Olvido e Paco Roca si inseriscono a pieno titolo nel solco (e “I solchi del destino” è un altro suo tributo alla Memoria uscito nel 2013) della letteratura maiuscola, civile, necessaria. Al di là del perimetro artificioso del “genere”; la fantascienza dell’Eternauta è un’allegoria autentica della realtà. E reali sono le anime che escono fuori dalle fosse comuni di Paterna, pagina dopo pagina in un crescendo di coinvolgimento e ammirazione; spazzano via la coltre della vergogna per combattere la barbarie, nonostante il potere corrosivo del tempo. Per proteggerci dalla insidia ricorrente di precipitare nell’abisso dell’oblio, con la malinconica certezza che Umberto Eco non si rivolterà nella tomba.

M.A.

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